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Incipit of the novel E L'ARTE DELLA COMPARAZIONE
«Da cosa riconoscerai l'uomo?»
I vostri sbirri, i vostri documenti in carta bollata, la vostra
giustizia mi fanno paura, persino voi. Perciò non vi dirò subito di
che fallo parlo nel titolo. Non userò parole forti. Più avanti
capirete da soli. Quando non si hanno i documenti in regola, quando
l'equivoco, l'equivoco teso e scricchiolante, resta l'unica passerella
che a volte, la sera, permette di penetrare nel bivacco degli umani, è
meglio non esporsi ai proverbiali fulmini della censura. In ogni caso,
non rimarrete delusi. Capirete più avanti di che fallo si tratta...
Posso comunque rivelarvi senza timore cosa significa l'espressione
«l'arte della comparazione». Non ha niente di scabroso. Non secondo il
linguaggio amministrativo, almeno. Il fatto è che intendo cominciare
questo racconto che si vuole anti-filosofico, a-filosofico con una
comparazione. La userò. Ne abuserò. È un procedimento fuori moda,
forse stupido, ma io non ci rinuncio. Completamente spoglio, nudo alle
soglie della maturità - questa olezzante cucina dei poveri dove ti
obbligano a trasformarti da spettatore che fischia in spettatore
fischiato - grido a gran voce: basta rinunce!
(Piotr Rawicz, Il sangue del cielo, introductory essay and
translations by Guia Risari, Giuntina, Firenze, 2006) Incipit of Guia Risari's essay
La Letteratura e l'arte della trasmissione
Quando, alla fine degli anni '50, si cominciò a parlare di «letteratura dell'Olocausto», poi «della Shoà» o «concentrazionaria», l'imperativo a cui, critici, scrittori, sociologi e storici della letteratura cercavano di rispondere era ricordare. Ricordare nel senso più ampio di quest'accezione: ricordare per la propria salvezza e per quella degli altri. Svelare un segreto sentito come vergognoso e intollerabile per sé e per gli altri, convincere sé e gli altri che era realmente accaduto, salvarsi dalla follia e salvare tutta una civiltà ormai condannata a vivere con la coscienza della propria deriva, del proprio orrore.
(Guia Risari in: Piotr Rawicz, Il sangue del cielo, introductory essay and
translations by Guia Risari, Giuntina, Firenze, 2006)
Critics
«(...)
L'opera era basata su un'ironia come unica arma per comunicare l'orrore,
«senza accuse, senza dispute tra colpevoli e innocenti, ma solo con
un'accusa potente contro l'Essere» come scrive nel suo saggio
introduttivo Guia Risari. Il libro era costruito come una sorta di
fiction, la prima del genere, «certo molto più potente e
autentica della mole di fiction televisiva e non solo sulla Shoah,
alla quale la contemporaneità ci ha abituato»(...) E oggi la
letteratura riesce a parlare ai lettori, alle persone e soprattutto ai
giovani di cose indicibili.» «(...)
Il mutamento di atteggiamento, o di sguardo, che occorre compiere per
restare affascinati dalla scrittura di Rawicz è ben espresso dalle
parole di Claude Bourdet riportate da Risari nel saggio introduttivo:
"Ammettiamo che un certo grado di orrore sia
insostenibile. Davanti a questo orrore, voi reagite, io reagisco con
l'indignazione, lo spavento, l'urlo, oppure con la fuga, la fuga nel
silenzio, o, persino, nell'indifferenza (...) Quel che è raro è
arrivare a questo punto e avere ancora voglia di scrivere, poter
ancora scrivere. Eppure solo quelli che hanno passato questa soglia
hanno una possibilità di trasmetterci, nel modo più accettabile, il
resoconto dell'orrore si comprende che, arrivati a questo punto di
distacco e di umorismo radicale, l'insostenibile diventi
comunicabile. Constatiamo, in realtà, che è l'unica maniera di
renderlo comunicabile". In questa luce, tutto quanto prima mi era
apparso volgare e greve, ora mi appariva un modo raffinato e
penetrante tessuto col filo di un'amara ironia ma soprattutto con
quello, pur meno visibile, di una commossa pietà per la condizione
umana di provare a rappresentare e comunicare in forma
intergenerazionale, al di là del momento storico e del secolo in cui
si è nello specifico manifestata, la sofferenza estrema, indicibile
perché enorme e assurda
(...)
Di fronte alla domanda sul male assoluto, sull¢unicità di Auschwitz, a
sua volta simbolo dell'unicità della Shoà, Rawicz sembra qui suggerire
con grande lucidità che, seppur in forme, intensità e gradi diversi e
imprevedibili, nella più varia fenomenologia, l'essenza e il
significato profondo degli "eventi raccontati" purtroppo sfugge a
una spiegazione storica e storiografica circostanziale: tali eventi
"potrebbero verificarsi in ogni luogo e in ogni tempo".
(...)» «Il sangue del cielo è un libro orribile e nello stesso
tempo un autentico capolavoro della letteratura ebraica e
mondiale, un romanzo che tutti dovrebbero leggere e meditare.
(...)
Tali orrori l'autore ci racconta, gli orrori di una civiltà in
decomposizione, e che sappia trovare le parole esatte per ciò
che appunto è "indicibile" appare ogni volta quasi un miracolo,
un miracolo straziante e ripugnante come un'oscenità, senza
dubbio, ma pur sempre un miracolo.
(...)
Il sangue del cielo, considerato il primo romanzo della nascente
letteratura della shoà, fu scritto in francese, lingua oramai
assimilata alla perfezione dall'autore, e pubblicato nel 1961,
quando, dopo circa un paio di decenni, si poté iniziare a
parlare e a riflettere su ciò che fino ad allora era stato
sentito come innominabile. Al suo apparire fu considerato un
caso letterario unico che suscitava reazioni contrastanti, gli
estimatori gridavano al genio mentre i detrattori allo
scandalo. Oggi la critica è unanime nel riconoscere il valore
inestimabile dell'opera.(...)» «(...)
La rappresentazione dell'epurazione del ghetto, della vita disumana intrisa
di morte e corruzione dell'ospedale ebraico e poi del suo
annientamento,(...)
la visione delle fosse dove uomini e donne subiscono le più feroci torture
perdono il tono accorato e talvolta epico che hanno in altre analoghe
descrizioni, per assumere invece la forza lacerante dell'immagine realistica,
probabilmente reale e si rivelano in fondo capaci di trasmettere una
pulsione emotiva e una corrente simpatetica più autentiche di tante pagine
meno "oggettive". Una grande, avvolgente pietas emerge da un quadro
così apparentemente distaccato e individualistico, in realtà intriso di
umanità e di coralità.(...)
Solo la nuova creazione narrativa,
il racconto, la testimonianza depositata e trasmessa riusciranno a dare
nuova dignità a un mondo scomparso nell'annientamento.
(...)» «(...)
Pubblicato nel 1961 in Francia, e finora mai tradotto in
italiano, Il sangue del cielo di Piotr Rawicz è un riuscito
esperimento narrativo, che mescola la crudezza di un'autobiografia
attraverso la Shoah ai toni del romanzo decostruttivista.
Quando apparve, la critica lo proclamò subito
capolavoro espressivo, esercizio provocatorio al crocevia
tra invenzione surreale e ricordo impietoso.(...) |
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